Nonostante lavorativamente parlando sia stata bella, confesso che mi dava un senso di inadeguatezza estetica.
Tacchi femminili che stacchettavano avanti e indietro per i corridoi, sguardi critici sul mio vestiario.
Penso che il mondo del lavoro chieda un’apparenza che non mi fa sentire a mio agio.
Eppure finora, al politecnico, o nel tirocinio triennale, non avevo vissuto questo senso di disagio legato al dress code, e alle sue valenze dicotomicamente sessiste.
Ho lavorato in uno studio tecnico piccolo. La moglie di uno dei capi ha un negozio di vestiti eleganti, e subisco continue pressioni ad andare lì a rifarmi il guardaroba.
Ho faticato persino a indossare i vestiti per la tesi, che mi ha quasi costretto a comprare il mio amico Alberto Sette, doppiatore di Christian Troy (Nip/Tuck) e suo credibile alter ego.
Credo che il mondo del lavoro possa rivelare un mio particolare sentire che per ora si è ben mimetizzato nell’anarcoide mondo dell’università e ancor prima del liceo.
Non so se troverò uno spazio che mi permetta di esprimermi senza dover stravolgere il mio aspetto.
Comunque, da poche settimane lavoro per un piccolo studio, la Digiteca, gestito da una coppia, lei economista, lui ingegnere, e le loro tre figlie.
Qui l’ambiente è molto alterntivo e accogliente. Non dimenticherò mai più l’importanza dell’ambiente di lavoro.