I miei primi mesi a Milano

Ormai sono a Milano da alcuni mesi e fare una valutazione di quest’esperienza non è facile.
Sicuramente influisce il collegio e tutte le sue limitazioni. Non riesco ad esprimermi come vorrei. Ci sono continue regole “normanti” che in famiglia non avevamo, come non usare i cellulari a tavola. A volte non capisco come possano pensare di avere un ruolo “educativo” su persone maggiorenni e ben paganti.

I miei primi mesi a Milano

Inoltre non provo nulla per le ragazze del collegio. Sono quasi tutte ragazze di famiglie molto ricche del centro sud, spesso pugliesi. Poi ci sono anche donne mature, delle “zitelle” (uso apposta questo termine, perché non si tratta di donne single emancipate, ma di vere e proprie beghine). Non riesco ad integrarmi nè con le une, nè con le altre.
Il mio ambiente naturale è un ambiente maschile, di coetanei maschi, che hanno gli stessi miei interessi ed hobbies, e forse una simile visione della vita.
Dico parolacce, bestemmio, qua invece sembrano tutti dei petali delicati.
Qui si mangia molto male. Non al collegio, in generale, a Milano. Pensano che la “pizza” dei kebbabbari sia la vera pizza, una pizza sottilissima, di grano tenero, simile al pane azimo del loro paese di origine. Non è razzismo, ma questa è tutto tranne che pizza, ed è anche cara. Non trovo nulla delle cose che amo mangiare: carciofi fritti, melanzane fritte, rosticceria e pasticceria siciliana “autentica”,carne impanata, etc etc. Anche le cose che amavo mangiare in sicilia qui sono cucinate “male”. La pasta, qui , è spesso al dente, la carne è spesso al sangue. Inoltre sono fissati con queste paste fredde e queste insalate di riso senza maionese…
I parrucchieri costano un’ira di dio ed esci praticamente come entri. Inoltre fanno differenze tra maschi e femmine, come se non esistessero donne rasate o uomini capelloni, come se fosse l’organo genitale a determinare il prezzo per tagliarti i capelli.
Inoltre frequentare persone così benestanti non mi aiuta. In Sicilia non ho mai fatto caso alle mode, mentre qui è un continuo fermarsi in centro a comprare accessori alla moda che forse non indosserò mai, e che costano non poco. Ad esempio, questo berretto marrone alla Oliver Twist. Mi sento circondato da frivolezza, come se in questa città l’apparire fosse più importante dell’essere. Le insalate, la verdura, che dovrebbe costare poco, qui costa più del resto. Non ha senso. Anche la carne è carissima. E’ difficilissimo trovare bei vestiti sopra le taglie da magri, e io comunque non è che abbia chissà quale taglia.
I mezzi pubblici, che tutti al sud dicono essere efficientissimi, sono iper scomodi. Congiunti da pezzi a piedi lunghissimi, passano spesso in ritardo, o ne arrivano 3 o 4 tutti insieme, pieni di persone che fanno cattivo odore, poveri non paganti nelle ultime file, o barboni che sanno di piscio. Io ho sempre usato lo scooter, mi trovo molto male a dipendere dagli altri anche per brevi spostamenti.  Eviterò come la peste il passante ferroviario, serve solo a perdersi. In poche parole, ora ho capito cosa erano i serpenti di ferro dei futuristi.

Infine, qui le musicassette sono andate in disuso da tempo: ormai tutto è CD. Inoltre spesso commessi e passanti sono sgarbati senza motivo, e ti fanno continuamente sentire come una perdita di tempo vivente. Nonostante tutto questo, resisto. Non voglio fare la fine del meridionale che si lamenta di Milano e rimpiange la “beddha Sicilia”.
Milano non mi sta piacendo soprattutto per motivi dovuti a “come” ci vivo, e questi dipendono dal fatto che sono situazioni provvisorie ed inevitabile. Il rigore del collegio, il fatto di non avere mezzi pubblici, e soprattutto del dover mangiare sempre fuori.
Un’altra cosa insopportabile è che continuano a fare errori di grammatica e ad usare dialettismi, ma se li usi tu (che, ovviamente, avendo vissuto sempre altrove non sai riconoscere, come loro non riconoscono i loro), ti trattano da ignorante, come se fossi una portinaia calabrese immigrata negli anni 70. Forse dipende dal fatto che quasi tutti i miei colleghi di università sono lombardi e di provincia, e quindi molto chiusi, mentre quelle dello studentato vanno in Bocconi, dove quasi tutti sono meridionali e quindi l’ambiente è più aperto. A volte sento questa fobia per i meridionali anche da parte di professori. Di certo “mi sento” provinciale anche nell’interpretare alcune materie (legate alle tipologie edilizie e alla morfologia urbana), ma è un gap che penso di colmare in poco tempo, perché dipende solo dal privilegio dei miei compagni di essere cresciuti con stimoli maggiori, con opportunità maggiori, conoscendo meglio “il mondo” in questa Babele piena di varietà. Un milanese non ha bisogno di viaggiare: è il mondo che viene da lui. Comunque, se la loro idea di meridionali coincide coi poveri e ignoranti immigrati nel 70, e non sanno distinguere loro dall’ondata di studenti figli di borghesi (io meno di altri, sia chiaro), è un problema loro. Che mi si dica che “non ho perso l’accento” dopo pochi mesi che sono qua è insopportabile. Ma poi…mi interessa davvero “perderlo”? Perché dovrei farlo? Loro sono intenzionati a perdere il loro? a fare corsi di dizione? Loro perderebbero l’accento se si trasferissero in Sicilia per lavoro? Si sforzerebbero di farlo? Quanto sono patetiche quelle persone che infilano dialettismi milanesi qua e la per (avere l’illusione di) integrarsi?
Per altri versi, Milano permette di indagare qualsiasi hobby, passione, curiosità. Puoi confrontarti con tante persone che provengono da tante zone d’Italia, e hai l’opportunità di essere, come dice mio padre “l’ultimo tra i primi”, e quindi avere continui stimoli.
Il fatto che io stia avendo meno libertà di quanto vivevo coi miei è solo un fattore momentaneo.

I miei primi mesi a Milano

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